Capita loro di stare insieme, capita loro ben di rado purtroppo, perché in questo caos fidicino c’è sempre un dialogo che rischia l’isteria perché a più voci. Ma, quando capita, loro due colgono l’attimo e non fanno in tempo a stupirsi di quella sospensione della normalità che è già un profluire a valanga di cose che avevano da dirsi. E poi quello era un giorno speciale, un giorno di maturità, perché era appena arrivata una lettera importante dove le confermavano che era stata presa al liceo francese, ullallà. La bambina conta già tre lingue al suo vocabolario decenne e quindi perché non fare il salto alla quarta e al liceo. Un salto nel tempio laico, anche se vagamente eletto, dei contenuti e delle nozioni, così pure la sua mamma è contenta e la smette di inveire contro le maestre che le insegnano le canzonette del cazzo di Sanremo e fan far loro i progetti e i cartelloni, invece di abituarli ora, ora che son piccini e che per questo è il tempo di farlo, al tempo lento dello studio per apprendere, per trasferire i contenuti dai libri a sé stesse e incontrare il piacere di imparare le cose, finalmente una scuola dove ci si preoccupa di insegnare e non di divertire, e c’è pure un esame di ammissione gentile, simpatico, ma insomma difficilissimo, e lei è stata presa, urrà.
Si sono trovate sole all’improvviso, non si erano nemmeno rese conto che avrebbero avuto quell’ora tutta per loro, non avevano nemmeno fatto in tempo a programmare uno straccio di canovaccio di argomenti, di litigi, che so, di cose da chiarire. Nulla. Che qui siamo sempre di corsa, e la scuola, e la valigia e il cellulare, e il caricabatterie, dov’è il caricabatterie? Non lo so, ce l’avevi te. No, io te l’ho dato a te. Non è vero. E vabbè, non si trova, né si troverà, almeno finché serve, che questo è il triste destino degli oggetti utili in una casa di distratti. E pace, andrà in gita con il suo coro di ragazzette che cantano canzoni meravigliose – mica quelle cacate che ti fanno fare a scuola, mamma… e la guarda facendole capire che la smetta, sì, che per favore la smetta, perché lei ai suoi insegnanti, per quanto incapaci, lei gli vuole bene, piccinina e li difende dalla mamma ipercritica insopportabile – senza telefono, che si diverta senza stare a rispondere a noi che le si rompe solo le scatole.
– Mamma, ho bisogno di magliette.
– Ah, e… che, ora? Parte l’autobus alle cinque, proprio ora ti servono?
– No, dai, mamma, non ora, così, dico in generale. Che sembra sempre che la mamma cada dalle nuvole e lei le risponde quasi sempre con grande affetto e con pazienza, quasi la riagguantasse un attimo prima di cadere davvero.
– Ah. Riagguantata. in effetti è vero, non ti sta più nulla.
– Eh.
– E va bene, quando torni si va a comprare una bella Lacoste! Che dici? Che la mamma adora le Lacoste, sono belle, sono colorate, non si stirano e sono sempre nuove, poi hanno colori fantastici, solo all’idea di comprare una Lacoste maman si illumina. Dai! Una bella Lacoste fucsia! O blu! Così poi la passi alla tua sorella e poi al tuo fratello e ci rimane in casa una decina d’anni, wow.
– No, mamma, dai.
– Come ‘dai’? La vuoi azzurra? Verde!!
– No, vorrei una di quelle magliette che vanno di moda ora.
E qui la ragazza cade in quella mancanza di strategia che le porta in dono la giovine età, perché introdurre a maman il concetto di ”moda” è come invitarla a mangiare una bistecca, lei ch’è vegetariana dai tempi del congresso di Vienna, le si alza il naso a quella, le si storce e le viene fuori un odore di snobberia che farebbe impallidire un nobilaccio di campagna, quasi la si savonarolizza e si sta sulle palle da sola, ma non è colpa sua, è l’idea di moda e di fregatura e di massa e di spazzatura che la fa fatica e l’obnubila, qualunque cosa voglia dire.
– In che senso di moda? Che la compriamo adesso perché ce l’hanno tutti ma invece pensi che non ce l’abbia nessuno e poi tra sei mesi finisce nel cestino perché non ne puoi più che ti è venuta a noi? E trasformiamo tutto in spazzatura, urrà al consumare.
– No, dai, mamma, non di moda che la ragazza conosce il pollo suo e quindi si ravvede e la guarda col suo sguardo del tipregosmettila e cerca di contenere la valanga. Sono delle magliette di cotone, ma di un cotone più fine che sembra quasi trasparente
– Trasparente? Alla tua età?
– no, dai, mamma, non sono trasparenti. E poi sono colorate, di colori belli, forti.
– Oddio, che colori?
– Tipo quei giacchetti da ciclista
– FOSFORESCENTI? Buona, che mi gira la testa, la mia figliola si vuole mettere una maglietta trasparente ma fosforescente… svengo, portatemi i sali.
E lei ride, ride. Perché la mamma la fa anche ridere, quella mamma che in verità è serissima nei suoi argomenti, però cerca di prendersi per il culo da sola e la cosa qua e là le riesce vagamente divertente. Quindi ride, la bambina multilingue, e cerca di riagguantare la mamma che è già lì che spippola sul telefono alla ricerca di una mail che le confermi l’orario di partenza del bus, che le è venuto il dubbio di aver sbagliato orario, posto e persino anche giorno… Mamma. Perché lei lo sa che la sua è una mamma diversa dalle altre e che ci vuole pazienza, ogni tanto glielo dice anche. La sua è una mamma che non le fa guardare la televisione e che se si deve andare in un posto si sceglie sempre il modo più complicato, ma poi anche divertente, perché si incontrano un sacco di persone anche strane e si parla e si ride, è una mamma che invece di portarla al cinema le fa leggere i libri e quando lei cerca di fare qualcosa di veloce la mamma spalanca gli occhi e le dice che il tempo è bello che sia un tempo lungo, mai breve, che i piaceri bisogna coltivarli pian piano per goderne davvero pienamente e quando lei vuole, che so, guardare la tv, la mamma le parla dei semi che si piantano e poi si dà l’acqua e pian piano cresce un fiore. E’ una mamma che fa tutto in casa, ormai anche il kebab, e che quando fa le torte sono torte a tre piani e le dispiace di non aver usato le uova delle sue galline, e a volte glielo dice anche quanto sarebbe bello avere un pezzetto di terra con qualche gallina, che il suo nonno ce le aveva, in giardino, le galline. ”Be’ perché te non sei come tutte le altre mamme di classe mia che non fanno prendere i neonati in braccio alle sorelle’‘. ”I neonati? Oddio, non lo fanno? E perché non lo fanno? Certo che se cade si rompe, è vero, ma insomma basta stare attenti, basta stare lì con voi. Tenere in braccio un nanetto appena arrivato è un bel gesto di affetto, perché non farlo fare? Oddio, però forse mi sbaglio, mi sono sbagliata e non andava fatto, dici che ho sbagliato, che non dovevo? Ti è cascato il tuo fratello e non me ne sono accorta? Questo mi vuoi dire??” E dai la valanga, ”no, no, mamma, hai fatto bene, davvero, io sono molto contenta di aver tenuto topino in braccio”. Arrivate, con un anticipo di 16 minuti, roba frequente e prevedibile come un 13 alla schedina.
– Mamma,la maglietta.
– Dimmi.
– È un cotone leggero, bello, che si vede attraverso
– Ah! Ma dici come la mia maglietta di Orione?
– Che c’entra Orione mamma, Orione è un libro.
– E vabbè, ma io ho anche la maglietta, anzi ormai è l’unica che ho, quella che mi portò lo zio da New York una vita fa, quella bellina con Orione sopra. E, ecco, ho capito che tessuto dici, e ci sta che vada di moda qui oggi, se andava di moda in America sei sette anni fa, avran dei fondi di magazzino da smerciare, lo fanno anche con le medicine figurati se si risparmiano di farlo coi tessuti.
– Mamma, ma che dici? Cosa c’entran le medicine? Io voglio una maglietta.
– Ma una bella Lacoste?
– Va bene mamma, e scuote la testa rassegnatissima, mi piacciono le Lacoste.