Il Piccolo Grande Zen

Quando i grandi si ammalano l’è un affar grande. Il piccolo grande di casa fidicina ha avuto un terribile virus che lo ha prima aggrappato di notte alla mamma, sul cui seno ha profluso fiumi di vomito e di lacrime, poi la ha aggrappato di giorno alla sua Fata Tata, per poi tornare a staffetta tra le braccia di maman. In un andirivieni di febbre altissima, in un lungo e unico sguardo malinconico abbandonato e terribilmente strappacuore e in ondivaghi e occasionali tornado di rabbia incazzata da piccolo tiranno in carriera quale è. Ma lui è bellissimo, meraviglioso e maman persino se si brucia le labbra se lo bacia ripentendogli il mantra ”diocomeseibello, diocomeseimeraviglioso”. Che uno deve pure investire in psicanalisi, no? Vogliono assicurare un paziente al futuro, i fidicini. Lunghi cavalloni di febbre alta, notti di grida e scene apocalittiche su e giù per il corridoio e un cero acceso a santo Nurofen, sempre sia lodato.

Finché è finalmente arrivato il giorno in cui il Piccolo Grande è uscito di casa per andarsi a conquistare il suo certificato di avvenuta guarigione. Una mattina di quasi primavera in anticipo, i due si sono avviati verso una nuova dottoressa. Per la strada si sono persi, si sono fermati, sono tornati indietro e sono riandati avanti. La mamma aveva scritto male l’indirizzo, ti pareva, troppo impegnata quella a baciarsi il figliolo per trascrivere un numero. Per cercare la pagina della dottoressa nuova maman ha posato per terra il figlio, il quale figlio lei ella mamma lo tiene normalmente in braccio come un campione olimpico tiene in mano la coppa, e con simile sguardo di trionfo se lo bacia – che una volta la gente si rinchiudeva per molto meno. Nel momento del distacco dei due è avvenuta la prima carambolata della mattina, mica la Pimpa col cane Tito, che non siamo a casa di Armando qui, siamo in una capitale piuttosto trash dell’Europa ricca.  I due stanno sul marciapiede quando un temporale vocale li agguanta da lontano: un signore in là con gli anni cammina seminudo urlando a squarciagola frasi incomprensibili, per di più l’urlo lo soffoca, gli gonfia gli occhi e gli dona un colorito tra l’aragosta e la ferrari, ma lui prosegue e il grido si fa sempre più forte, straziato e pericoloso.

Il Piccolo Grande si spaventa, la mamma smarrita non lo aiuta ma forse lo incoraggia con uno sguardo, con due parole sottovoce non preoccuparti, è un signore un po’ mattarello e lui in qualche modo lascia la paura, risale a trofeo sulle braccia di maman e, con la saggezza zen dei suoi non ancora tre anni, lo guarda e mentre quello si allontana si esprime

– Il suo papà era un tato cattivo. Essì.

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